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Un “Picasso ibrido”. L’analisi di Boris Brollo sul lavoro di Clara Brasca (e una mostra)

Il lavoro di Clara Brasca si rifà alla lezione del Settecento Neoclassico.

Da qualche anno lo storico americano Fukuyama scrive che il processo di evoluzione sociale, economica e politica dell’umanità avrebbe raggiunto il suo apice alla fine del XX secolo, snodo epocale a partire dal quale si starebbe aprendo una fase finale di conclusione della storia in quanto tale. Siamo quindi sull’orizzonte della storia e tutto è disposto in maniera orizzontale e compresente. Vi stanno Dante e Ungaretti sullo stesso piano di Bach e Malipiero. Come per il Rock e la musica New Age. Tutta la storia, poetica, letteraria e artistica è contemporanea. Così la teorizzazione del Neoclassico che prese vita a Roma con gli scritti dell’archeologo e storico dell’arte Johann Joachim Winckelmann e del pittore e storico dell’arte Anton Raphael Mengs, mentre la costituzione di tale modello si ebbe soprattutto grazie alle scoperte e agli scavi delle antiche città di Ercolano e Pompei, assieme alla formazione dell’archeologia come scienza e alla diffusione di pubblicazioni sulle antichità greche. L’apice della pittura neoclassica si raggiunge con i francesi Jaques-Louis David e Jean Auguste Dominique Ingres. Mentre in scultura eccellono Antonio Canova e Alberto Thorvaldsen. Questo il panorama della Brasca e del suo operato che però, la Brasca, qui mescola con la pittura di Picasso creandone un Ibrido (da cui il titolo) che raggiunge vette impensate molto vicine alla fantasia surreale del noto Maestro spagnolo. Lo stesso Picasso fu un grande interprete dell’ibrido, basti guardare alla sua scultura che da una matrice surrealista come Buste de Femme (1931) passa alla fusione dei materiali (ceste di paglia, automobili giocattolo) come in Petite Fille sautant à la corde (1950) e La Guenon et son petit (1951) per prima esser passato dal sellino con manubrio di Tète de Taureau del 1942!

Clara Brasca conosce la storia del Ritorno all’ordine degli anni Trenta che investì l’intera Europa dell’arte. In quel periodo Picasso era a Roma al seguito del balletto di Diaghilev e si immerse nella cultura classica romana che, poi, riportò all’interno della propria pittura, la quale viene volumetricamente ingrossata, dando così la stura a potenti opere con “matrone romane” sedute attorno alla fonte d’acqua e che chiacchierano tranquillamente in vista al mondo. Questo suo ricorso al mondo dell’antica Roma ha ispirato la nostra Autrice che, pur rimanendo fedele alla sua natura neoclassica, inserisce intriganti porzioni d’opera tratte da Picasso, rendendoci così una nuova visione dello stesso. Avviando una serie di “mostri” d’opera che nulla perdono, ma anzi s’ingraziano la bellezza della novità con personaggi intriganti pronti per un balletto mascherato.

Boris Brollo

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