C’era un cartello bianco, scritto con pennarelli blu e rossi. “Primo o ultimo che tu sia, meriti tutta la stima mia”. Erano gli ultimi chilometri, quelli della dolcissima discesa prima di sassi e poi persino d’erba. Il momento catartico, quel rotolare ineluttabile verso il traguardo che desideri con tutte le tue forze.
Ecco, questa è la prima fotografia che voglio mostrarvi della mia Trans D’Havet, gara di trail running su due distanze: il leggendario Ultratrail sulle piccole Dolomiti da 80 chilometri con 5.500 metri di dislivello e l’umile sorella minore, la Marathon da 40 chilometri e 2.500 metri di salita – e molti di più in discesa. Una meta per molti skyrunner, è la porta di ingresso per le gare internazionali, quelle che superano le cinquanta miglia e ti portano nell’olimpo della corsa in montagna. Gare dove si corre per giornate intere, dove i ristori si chiamano campi vita e dove solo un manipolo di eroi compete.
Introduzione epica per spiegarvi l’emozione con la quale ho corso la misura corta. A questo solamente posso ambire, almeno oggi. Premessa: macchina organizzativa perfetta, e non è facile con due partenze diverse e un arrivo unico, collegato alla gestione degli autobus e di un evento che dura ininterrottamente da venerdi sera a sabato sera, con decine di volontari dislocati su vette lontane e centinaia di passaggi da segnalare e curare. L’errore ci scappa sempre. E noi non ne abbiamo visti. Bravissimi.
L’altra fotografia che mi porto a casa della gara è la partenza. Solita emozione, solita adrenalina. Ma iniziare subito a superare gli ultimi della Ultra – loro erano partiti la sera prima, alle 23, e avevano sulle gambe 40-45 chilometri e circa tremila metri di dislivello, per noi erano invece le nove del mattino – mi feriva. Volevo spingerli, erano loro gli eroi, e io al posto loro avrei finito la mia sfida. Ma sorridevano, lenti, storditi dal sonno e dalla fatica, e avanzavano, nell’aria pulita della montagna, magari con la pila ancora in testa.
Ciao e via, senza un attimo di respiro, arrampicandosi dal Pian delle Fugazze a Passo Campogrosso, passando per Passo Lora o Tre Croci e Malga Campo d’Avanti prima di buttarsi a capofitto verso Valdagno in una giornata stupenda, soleggiata al punto giusto e con le nuvole capaci di non renderla troppo torrida.
Una gara che dentro ha tutta la bellezza delle Dolomiti e tutta la gioia dei trail. Una parte iniziale ostile, dura, fatta di salita che ti annienta. Una parte centrale di saliscendi, quasi morbidi, dove correre tra panorami pazzeschi e sentire le mucche al pascolo, il rumore dell’aria tra i rami e l’odore dell’erba e dei ciclamini. Tratti di discesa cattiva, di quella che fa male. E di improvvise risalite.
Fino alla parte finale, quella del cartello. Le case aperte, coi residenti che ti donano le loro chiare e fresche acque che manco Petrarca sarebbe stato in grado di descrivere, pari solo alla birra presente ad ogni ristoro. L’asfalto, quel passante che ti guarda negli occhi e ti applaude, sincero riconoscimento di stima e affetto che solo chi corre può capire, le transenne e quella piccola folla che è lì solo per te ed infine il traguardo e le foto.
Ogni volta piango, quando finisco gare come questa. Sono scomparso nell’infinito per sei, sette ore e ricompaio a terra, distrutto di gioia. Grazie, Trans D’Havet. Speriamo di rivederci presto.
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Un bellissimo articolo che non posso che condividere al 100%, avendo anche vissuto le emozioni ed il sonno della notte prima, essendo uno degli ‘ultra’… Piccola nota: sinceramente dopo Campogrosso ero felice di farmi passare dai primi della ‘corta’ (che ‘sgasavano’ alla grande ed andavano al doppio di me) e poi dagli altri più ‘umani’ su per Bocchetta Fondi e Cima Carega, che vedendo il pettorale con il numero nero mi incoraggiavano, mi spronavano e mi facevano anche sentire ‘figo’… Ed alla vista del cartello Primo o ultimo che tu sia hai tutta la stima mia, una calda lacrimona l’ho fatta anch’io. Buone corse e chissà che l’anno prossimo ci vediamo a Piovene prima di mezzanotte !!! Mariano Stivanello 101°