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IL SOGNO DELL’ ASTRAZIONE

“Arriviamo a quello che sembra un punto fondamentale – il quark è isolato, il genoma è mappato – ma subito l’unità apparente inizia a dividersi e suddividersi. Nella scienza come in tutte le questioni umane tutto si ramifica”.

 

John Banville

 

 

– il principio d’indeterminazione legato alla meccanica quantistica comportante una visione probabilistica della causalità  è analogo all’accostamento proposto da Bachelard alla “psicologia del molteplice”, in grado di cogliere il valore dell’accidentale, della varietà e del disordine che si presentano nella vita;

 

da FLUXUS O DEL PRINCIPIO DELL’INDETERMINAZIONE

 

Dopo il Futurismo, avanguardia mondiale che fece nascere diversi Futurismi nel mondo come in Russia, Messico, Inghilterra, per citarne alcuni, l’arte cambiò pelle e costrutto, cioè si allargò nel suo linguaggio estetico. Ed ecco nascere una serie di Movimenti artistici che si rifacevano all’Astrazione, capi in testa: Frantisék Kupka, Piet Mondrian, i Delaunay, Wassili Kandinskij che divisero questo nuovo modo di fare arte fra astrattismo lirico e/o geometrico.  In Italia la ricerca sull’astrattismo fu avviata da Atanasio Soldati che con Alberto Magnelli, Mauro Reggiani, Manlio Rho, e Mario Radice possono considerarsi i pionieri del movimento astratto italiano. Nel 1948, poi, il Soldati fonderà con Dorfles, Monnet e Munari, il Gruppo MAC (Movimento Arte Concreta). In quegli anni (1949/1950) in Francia il critico d’arte Michel Tapié lancia un nuovo Movimento cosiddetto Informel (Arte Informale) che denominerà la pittura astratto informale sia europea che americana. Su questa nuova linea dell’Astrazione si affermeranno due categorie strutturali: Il Gesto e La Materia. Saltando tutte le varianti successive, accadute nel mondo dell’arte su “gesto e materia”, faccio riferimento subito ad una grande mostra italiana fatta da Demetrio Paparoni in San Marino, titolata: L’Astrazione Ridefinita (Italia-America) nel 1993. Egli mise a confronto l’astrazione americana degli anni Ottanta con quella italiana ridefinendone le basi al di fuori della gestualità materica, bensì  riportandola sul piano della capacità concettuale dell’artista sacerdos unico del proprio lavoro sia che sia gratuito, occasionale, che mirato, o indirizzato verso orizzonti dove la materia fa da sé la costruzione dell’opera germinando. Sta a dire qualsiasi uso di pittura o strumentazioni diverse: stoffe o carte possono essere incluse e assumere titolarità! Questo assieme ai differenti linguaggi artistici composti da segni, graffi, geroglifici, spirali, scolature o altro che accada nella tela! In questo suo territorio delimitato sono in realtà segni di memorie passate o nuove che inclusivamente si pongono all’attenzione visiva, senza alcuna gerarchia estetica o sublimante ma come dati di fatto. In realtà è un rinnovamento totale della materia che non è più solo memoria del gesto e, viceversa, del gesto che perde la sua forza ed il suo significato simbolico per diventare complemento decorativo. Ed è quello che succede qui nella pittura di Enzo Esposito e di Tommaso Cascella. In Esposito la pittura, pur restando materia generata dalla memoria della gestualità delle stesure, viene poi strappata in pezzi e ricomposta arbitrariamente dal pittore, il quale avvia così una leggera entropia che sovverte e modifica al fondo il tema pittorico. Mentre in Cascella l’opera rispecchia la materia della tradizione dell’affresco italiano, ma si fa sormontare e rincorrere da una “vezzosa” linea che s’istoria ed innerva dentro la pittura facendoci spostare l’orizzonte della vista in funzione di una giostra di giravolte senza fine. Così che il sogno dell’astrazione, cioè del suo sublimarsi in altro telos (fine) pittorico, abbia inizio nell’opera e si completi nello sguardo finale dello spettatore.

 

Il curatore Boris Brollo

 

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