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ARTISTI DELLE TERRE VENETE, il saggio di Boris Brollo

Poteva nel Veneto sorgere una rete dell’arte come quella attuale  senza un precedente “glorioso passato”?  E non parliamo di un passato remoto caro ad una agiografia che ricorda i fasti della Serenissima, bensì ad un passato recente proiettato nel futuro: Venezia usciva integra dai bombardamenti grazie ad una salvaguardia internazionale per cui poté aprire subito la sua Biennale Internazionale d’Arte già nel 1948. Nel 1947 due lutti l’avevano colpita, più che le bombe, la morte di Gino Rossi, il Cezanne della laguna, e quella di  Arturo Martini: il rinnovatore della scultura italiana. Nello stesso anno vi è l’insediamento a Venezia di Peggy Guggenheim che porta la sua collezione che si vedrà, poi, alla stessa Biennale di Venezia del 1948. Inoltre, già nel 1945 Anton Giulio Ambrosini  darà alle stampe il suo “Considerazioni attorno allo Spazio”, e con lui si troveranno d’accordo il critico Berto Morucchio e il pittore Mario De Luigi, supportati dal grande Virgilio Guidi, i quali faranno da trait d’union agli Spazialisti Milanesi capitanati da Lucio Fontana e sorretti in Venezia dall’attento gallerista Carlo Cardazzo. Si apre quindi un decennio favoloso per la pittura veneta e non; lo Spazialismo, Movimento preponderante allora, diventa la pietra di paragone per l’arte nazionale e internazionale. Nascono, artisticamente parlando, autori  importanti come Tancredi Parmeggiani, Emilio Vedova, Edmondo Bacci, Gino Morandis, Luciano Gaspari, Vinicio Vianello e  lo scultore De Toffoli. Inoltre il mondo dell’arte si aprì, da subito,  alle prime donne artiste quali la Bruna Gasparini e la Bice Lazzari. I più giovani Ennio Finzi, Vasco Magnolato, Riccardo Schweitzer, Saverio Rampin , Riccardo Licata e Carmelo Zotti, già giovanissimi, furono presenti alle Biennali degli anni Sessanta e spesso premiati da maestri come Guidi e Saetti. Insomma Venezia visse un periodo d’oro per l’arte contemporanea che lasciò un segno forse fin troppo forte in quelle generazioni tanto da diventare, poi, sterili nel senso che dopo gli anni Sessanta fu difficile trovare artisti di vaglia in Venezia se non provenienti da fuori come l’allora giovanissimo Fabrizio Plessi, ora veneziano d’adozione. I vecchi pittori come Caramel, Seibezzi, Novati  che si trovavano attorno al Premio Burano erano passati in secondo piano ed avevano lasciato il “testimone” ai più giovani suddetti. Fra l’altro, tra le due guerre, in base a un sondaggio personale su una cinquantina di pittori veneti dai primi del Novecento alla seconda Guerra Mondiale: tutti questi hanno fatto un viaggio a Parigi, e, almeno il 50%  di  loro vi ha soggiornato per almeno due anni. Quindi una situazione favorevole di rilancio artistico per Venezia, quasi una congiunzione astrale per l’arte contemporanea di allora e di cui molti pittori hanno in seguito goduto per anni come si diceva.  La diatriba a sinistra fra Il Fronte Nuovo delle Arti vede schierati tutti costoro pro o contro la politica culturale del PCI nazionale, ma in fondo tutti dentro l’arte di quel fervido dibattito agli inizi degli anni Cinquanta.

Alla fine di detto decennio prende  avvio pure il Premio Marzotto che ha carattere nazionale, dapprima, ma con l’entrata in giuria di Santomaso e del tedesco Winters diventa internazionale (1958).  La presenza in giuria di Pierre Restany per 3 edizioni (1962-1966)  porterà il Premio Marzotto all’attenzione Europea, e con essa  il Veneto. Si poterono vedere i più grandi artisti europei: dal Nouveau Realisme al Gruppo Cobra. Tutt’attorno nasceva, sulla scia del premio, un indotto collezionistico grazie alla vendita delle opere che rimanevano a magazzino. Vendita che avveniva anche a rate e permetteva agli artisti un ricavo e ai giovani collezionisti di avere opere a basso costo. Cosi nacquero diverse collezioni fra cui quella di Malo del Museo Casabianca di Gio Batta Meneguzzo tutta dedicata alle opere su carta.  Su imitazione del Marzotto nacque il Premio Trissino sempre nel Vicentino; mentre nella provincia  in un territorio fra Padova e Vicenza da una collezione nasceva il museo “U. Apollonio” di San Martino di Lupari tutto dedito all’arte cinetica grazie all’impulso della presenza in Padova del Gruppo N, che con l’artista e teorico, di formazione marxista, Manfredo Massironi aprì una fiorente stagione all’Arte Programmata e Cinetica. In una villa già abitata dalla Duse ad Asolo nei primi anni Settanta si poteva assistere alle perfomance di Hermann Nitsch e degli “azionisti viennesi”, come alle prime perfomances di Joe Jones, di Nam June Paik e della Charlotte Moorman grazie alla presenza di Francesco Conz  che aveva scoperto Fluxus e Maciunas ed era stato a New York con Gunter Brus e lo stesso Nitsch all’inizio degli anni Settanta e poi aveva aperto questo spazio ad Asolo. Un grande fermento democratico e partecipativo dove le cose si rispecchiavano in una cultura alternativa che era l’ideale ribellione alle pastoie clericali, ma di là a qualche anno lo stesso modello alternativo entra in crisi grazie alla riorganizzazione capitalistica dal basso. Ogni campanile corrisponde ad una piccola zona industriale tirata su da contributi e sovvenzioni comunali. La grande industria entra in crisi col Sessantotto e le lotte operaie che sublimano la propria catarsi nell’abbattimento della statua del conte Gaetano Marzotto. E così, mentre la rigidità operaia è contraria a una riorganizzazione del lavoro e a un ammodernamento degli impianti, avanzano quelle piccole aziende  dell’indotto a carattere famigliare che sconvolgeranno l’assetto economico e produttivo del Veneto. Il lavoro viene de-localizzato e si punta tutto nel mercato finanziario. L’arte attuale segue questo percorso legato strettamente al mercato. Sono andati quindi persi quei valori legati allo scontro civile fra ideologie contrapposte: Destra o Sinistra; cristianesimo o laicismo. I pittori che cercavano valori nel sociale, prima che nel mercato, puntando ad essere guida ed esempio per le classi sociali di appartenenza sono oggi “cose” tutte scomparse! La “fluidità sociale” (progetti qui in Europa, e realizzi là in Asia) ha reso liquida la società in cui viviamo. La Globalizzazione ha esteso i suoi gangli finanziari e produttivi livellando il mondo della cultura e della produttività. I centri scientifici sono connessi fra loro al di sopra di tutto. Le differenze culturali e folkloriche vengono assorbite dai comportamenti sociali senza differenza alcuna. Ci si veste all’araba, o in altre maniere, nelle grandi città come New York, Londra, Milano etc.. I film sono produzioni standard da Hollywood a Bollywood (India), cosi per l’arte. Si è persa la propria identità dentro un mare di complessità sociale. Ed agli Artisti  non resta che usare la “complessità sociale” come elemento interiore e specchio della propria complessità da esprimere, in attesa di un’arte nuova, oppure nel rendersi conto della sparizione dell’Arte stessa.

Boris Brollo

2009/2024

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