Non ricordo se il mio primo contatto con Roberto Sebastian Matta fu nel 1977, alla Biennale del Dissenso di Carlo Ripa Di Meana, in Campo Santa Margherita dove erano esposte delle immagini su tabelloni di artisti spagnoli. Per certo egli partecipò nella mostra della Biennale del ’78 Dalla Natura all’Arte, dall’Arte alla Natura coordinata da F. Menna, A. Bonito Oliva, C. Amman, e A. Del Guercio nella sezione Finestre II, Interno con il quadro La Questione del 1958, ora presente nella mostra Roberto Matta 1911- 2002 che si tiene a Cà Pesaro in Venezia fino al 23 Marzo 2025. In quel periodo a Sebastian Matta era stato negato il rinnovo del suo passaporto dalla Giunta del dittatore cileno Pinochet che aveva assassinato Salvador Allende. Per cui si era costituito un comitato a suo favore per il rilascio del rinnovo del passaporto. Appello che firmai. Dieci anni dopo, nel 1986, assieme ad altri curai la rassegna dei Premi Marzotto in occasione del 151° anno dalla fondazione delle industrie Marzotto. Ebbi così modo di vedere dal vivo la seconda versione de La Question de Djamila, del 1960, che vinse il premio Marzotto nel 1962. Quadro che mi colpì per la potenza espressiva e per la sua cupezza dove strutture archetipe e meccaniche operano su un tavolo con artigli taglienti. Mi ha ricordato per la potenza espressiva la Lezione di Anatomia di Rembrandt. Quella riprodotta è la storia di una giovane donna algerina resistente che viene torturata dai militari francesi che occupavano l’Algeria, allora colonia francese. Gli intellettuali francesi erano muti, solo Matta e l’anno dopo Picasso, entrambi emigrati stranieri in Parigi ebbero il coraggio di dare vita a questa storia delittuosa. Picasso lo fece con un ritratto dedicato alla giovane Djamila.
Qui in mostra è esposta la prima versione del 1958. Una tela (300 cm X 200) dal fondo scuro dove emergono delle ombre e dei piani intersecanti che conducono lo sguardo al centro su una massa quasi nera che può essere interpretata come un militare armato, trasfigurato quasi in robot; ai piedi di lui, in luce, giace una chiazza di sangue ed un ectoplasma chiaro che rimanda alla vittima. La Question, del titolo, si rifà allo stesso titolo del libro di Henri Alleg, sempre del 1958, sfuggito alle torture dei militari francesi in Algeria, che racconta la storia di Djamila Boupacha morta sotto tortura. Roberto Sebastian Matta nacque a Santiago del Cile l’11 novembre 1911 da una famiglia di origini spagnole, basche, e francesi. Dopo gli studi in architettura, nel 1934 si trasferì a Parigi, dove lavorò con Le Corbusier ed entrò in contatto con intellettuali come Rafael Alberti e Federico García Lorca. Conobbe André Breton e Salvador Dalí e aderì al Surrealismo, elaborando una pittura incentrata su morfologie psicologiche. Simili alle presenze fantasmatiche di Wilfredo Lam, pure lui del circolo surrealista di Breton, tanto da poter parlare, per alcuni, di una scuola surrealista latina. Nelle opere di questi due artisti, i movimenti artistici europei, quali il Surrealismo e il Cubismo, si mescolano con suggestioni provenienti dalle culture antiche dell’America Latina. Matta fu influenzato dai Maya e dagli Aztechi, mentre Lam dalla Santería, una religione afro-americana di origine yoruba che si diffuse tra i discendenti degli africani occidentali a Cuba. Sebastian Matta fu costantemente in movimento, dalla Scandinavia, dove conobbe Alvar Aalto, a Londra, dove incontrò Henry Moore, Roland Penrose e René Magritte. A Venezia conobbe Giorgio de Chirico. All’inizio della Seconda Guerra Mondiale fuggì a New York assieme a molti altri artisti d’avanguardia. Qui esercitò una decisiva influenza su alcuni giovani artisti come Jackson Pollock e Arshile Gorky. Venne allontanato dal gruppo surrealista (in cui però fu successivamente riammesso), accusato di aver indirettamente provocato il suicidio di Gorky a causa della relazione con la moglie del pittore armeno. Trasferitosi a Roma, poi, dalla fine degli anni sessanta elesse Tarquinia come sua residenza parallela, stabilendosi in un ex convento dei frati Passionisti.
Boris Brollo