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Voters Without Borders e la lotta per il voto all’estero

“Sono residente in Spagna da 18 anni, pago lì le tasse, gestisco un’attività commerciale, ho una casa, ma non ho voce in capitolo su come queste tasse vengano spese perché non ho diritto di voto. Per contro, posso votare nei Paesi Bassi anche se lì non posseggo nulla”

Danielle (Olandese in Spagna)

 

“Fate votare i cittadini UE nel paese in cui risiedono”, è l’appello di Voters Without Borders, iniziativa dei cittadini europei (ICE) lanciata da un gruppo di giovani cittadini, tra cui 5 ragazzi italiani, che in caso di approvazione permetterebbe a tutti i cittadini dell’Unione di partecipare alle elezioni nazionali, regionali e referendarie del Paese di residenza.

 

Questa iniziative è stata pensata per trovare la soluzione a un problema più comune di quello che si pensa: “ci sono 14 milioni di cittadini UE che vivono in un altro Stato membro, ma nessuno di loro può votare a parità di condizioni con i cittadini del proprio paese di residenza“.

 

Sono soprattutto i giovani della generazione Erasmus a denunciare il problema e a impegnarsi per questa campagn, coloro che fanno parte della categoria dei cosiddetti “cittadini mobili”. Molti di loro, oggi, pur pagando le tasse o mandando i figli a scuola, non hanno diritto di voto alle elezioni nazionali, regionali e referendum.

 

E alle elezioni locali ed europee dove possono votare come cittadini del paese di residenza, spesso non lo fanno perché scoraggiati da barriere burocratiche e carenza di informazioni. Ma c’è dell’altro: per i cittadini di alcuni Paesi UE, anche partecipare alle elezioni del proprio paese di origine è diventato difficile. Ricordiamo i ritardi nell’invio delle schede elettorali riscontrate da molti italiani all’estero alle ultime elezioni politiche ed europee, o le elezioni presidenziali in Romania e le lunghissime file presso i seggi aperti in altri Paesi.

 

La problematica era emersa con maggiore forza nel 2016 con il referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione: 3,7 milioni di cittadini europei residenti nel Paese anglosassone e 1,3 milioni di cittadini britannici presenti in altri Stati dell’Unione non hanno potuto esprimere il proprio voto.

 

Ci sono inoltre paesi UE che privano completamente i loro cittadini del diritto di votare dopo aver trascorso un certo periodo di tempo all’estero, come l’Irlanda, dopo 18 mesi di residenza all’estero, o la Danimarca fin da subito, almeno che non si provi il volere di ritornare entro 2 anni.

 

In Italia, con la vittoria del sì al referendum del 20,21 Settembre, 6 milioni di italiani all’estero perderanno influenza e rappresentanza, con 1 rappresentante eletto ogni 1.4 milioni di cittadini. Questa iniziativa offre però un’altra prospettiva, quella di avere accesso al voto nel paese di residenza. D’altronde, se pago le tasse devo avere anche il diritto a partecipare alle elezioni, ma l’iniziativa ha anche il merito di rafforzare il concetto di cittadinanza europea.

 

L’UE non può attuare riforme democratiche credibili senza prima rimediare all’assenza di diritti politici dei suoi cittadini “mobili”. Secondo i sondaggi (Eurobarometer 2020) a volere diritto di voto universale europeo è il 63% dei cittadini.

 

Tra i promotori, oltre ai 12 giovani parte del team e 50 organizzazioni in tutta Europa, anche eurodeputati e attivisti di più schieramenti, come Guy Verhofstadt (RE), Karen Melchior (RE), Damian Boeselager (Verdi), Dacian Ciolos (RE), Victor Negrescu (S&D), Jan Christoph Oetjen (RE), Alain Lamassoure (ex eurodeputato, PPE), Bogdan Deleanu (Alleanza USR-PLUS, Romania), e Piernicola Pedicini (M5S).

 

La raccolta firme si è aperta il 1° settembre e durerà un anno, come previsto dai regolamenti UE.  Sarà necessario raccogliere 1 milione di firme in tutta l’UE.  Chi vuole firmare può farlo sul sito Voterswithoutborders.eu o sul sito ufficiale della Commissione dedicato all’ICE.

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