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Buon 5 maggio, interisti! Chissà se Simone Inzaghi segna anche stavolta…

C’è una data, nel calendario calcistico italiano, che gli interisti evitano come il latte vaccino in un raduno di vegani. Una data che, più che un semplice numero, è un trauma collettivo, una nube nera che ogni anno riappare come un temporale sulla tangenziale Est: il 5 maggio. Non importa quanti scudetti abbiano vinto dopo, quante Champions abbiano sventolato come lenzuoli al vento sul balcone. Il 5 maggio 2002 resta lì, scolpito nella pietra, come una lapide. E oggi, nel giorno della commemorazione non ufficiale più sentita del calcio italiano, non possiamo che tornare a quella domenica maledetta. Per riderci sopra? Forse. Per capire? Difficile. Per esorcizzare? Speriamo.

Roma-Lazio 4-2: cronaca di una disfatta

È il 5 maggio 2002. L’Inter è prima in classifica con 69 punti. Dietro, a un solo passo, la Juventus a 68, la Roma a 67. Una vittoria all’Olimpico contro una Lazio ormai senza stimoli consegnerebbe lo scudetto ai nerazzurri. E non è una Lazio qualsiasi: è quella che in panchina ha Zaccheroni (sì, proprio lui, traghettatore e profeta del 3-4-3), e in campo una squadra più interessata a rovinare la festa agli odiati cugini romanisti che non a vincere per se stessa. Insomma, le condizioni sono ideali. Talmente ideali che fanno paura.

L’Inter di Hector Cúper è un cocktail esotico di talento e psicodramma: Ronaldo il Fenomeno, Christian Vieri, Clarence Seedorf, Javier Zanetti, Luigi Di Biagio, Materazzi, Cordoba. In porta Toldo, il monumento di Euro 2000. Una squadra forte, fortissima. Ma con un difetto cronico: l’ansia da prestazione.

La partita comincia. Vieri segna dopo appena 12 minuti. Sembra fatta. I tifosi esplodono. Il tricolore è lì, basta allungare la mano. Ma poi accade qualcosa. Una crepa. Un’ombra. L’Inter, come Narciso, si guarda allo specchio e si perde.

Al 19’ pareggia Poborsky. L’ala ceca, con la capigliatura da frontman grunge, semina il panico. L’Inter trema. Ma poi Di Biagio riporta avanti i nerazzurri: 2-1. Tutto di nuovo sotto controllo? Macché.

Ancora Poborsky, al 44’, fa 2-2. Poi Simeone, vecchia conoscenza interista, al 55’ segna il 3-2. Infine, Simone Inzaghi, entrato dalla panchina, firma il 4-2 definitivo all’ultimo respiro.

E qui comincia la leggenda.

Simone Inzaghi, l’uomo del destino (altrui)

Già, Simone Inzaghi. All’epoca era ancora il fratello meno famoso, quello che segnava poco, ma spesso gol pesanti. In quella partita entrò e la chiuse. A 25 anni, con la Lazio, Inzaghi fece da esattore del destino: raccolse il conto lasciato in sospeso da un’Inter che s’era fidata troppo del proprio cuore.

Chi avrebbe mai detto che lo stesso Simone Inzaghi, esattamente 23 anni dopo, sarebbe stato alla guida proprio di quell’Inter che allora affondò tra le lacrime? La vita, a volte, è un romanzo balordo scritto da un autore satirico con il vizio del paradosso.

E pensare che in quella stessa giornata, a Udine, la Juventus stava facendo il suo compitino con una semplicità quasi crudele. 2-0 secco, gol di Trezeguet e Del Piero. Una vittoria chirurgica. Lo scudetto tornava a Torino, mentre a Milano si consumava un lutto sportivo di proporzioni epiche.

Le immagini di Ronaldo in panchina, in lacrime, sono ormai storia. Non piangeva solo lui. Piangeva anche la Curva Nord. Piangeva Moratti, dietro i suoi occhiali spessi. Piangeva persino il cielo su Milano, probabilmente.

Il 5 maggio di Manzoni

E qui entra in scena l’altro “5 maggio”, quello più celebre, quello scritto da Alessandro Manzoni nel 1821. La morte di Napoleone sull’isola di Sant’Elena. “Ei fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro…” — versi che gli interisti, più che declamare, recitano ogni anno come un requiem laico.

È incredibile come il destino abbia scelto la stessa data per seppellire un impero e uno scudetto. Napoleone, come l’Inter, era partito per conquistare l’Europa e si è ritrovato confinato su un’isola deserta. Anche Cúper, dopo quella sconfitta, sembrava un generale in esilio. L’Inter non solo perse il titolo, ma vide sbriciolarsi la propria identità.

Manzoni scrisse: “Dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno…”. C’era tutto l’orgoglio del genio, ma anche l’amara constatazione della caducità. L’Inter, come Bonaparte, aveva toccato il cielo con un dito e subito dopo sprofondato negli abissi.

Quel 5 maggio è diventato per gli interisti una specie di data totemica. Se il 25 dicembre si celebra la nascita di un salvatore, il 5 maggio si celebra la caduta di un’illusione. E da lì, ogni volta che il calendario si avvicina, si alza il tasso di sudorazione a Milano.

2024-2025: un’altra Inter, un altro Inzaghi?

E ora siamo qui, 5 maggio 2025.

Ma domani è il 6 maggio. E l’Inter gioca contro il Barcellona, nel ritorno delle semifinali di Champions League. L’andata è finita 3-3. Tutto è in bilico. Il Camp Nou è uno stadio che conosce le vendette, i drammi, le resurrezioni.

E allora la domanda sorge spontanea: ci sarà un’altra poesia, stavolta con un finale diverso?

La poesia del 6 maggio?

Se Manzoni fosse vivo, forse avrebbe preso la penna e avrebbe scritto il seguito. Magari una poesia in rima baciata, magari un sonetto beffardo. O forse no. Forse avrebbe solo sorriso di quel paradosso per cui la Storia, quando si ripete, lo fa prima come tragedia e poi come farsa.

Il 6 maggio è un’opportunità. Per Simone Inzaghi di redimere il suo passato, per l’Inter di chiudere il cerchio, per i tifosi di cancellare quella data dal calendario emotivo. Una vittoria a Barcellona, contro un avversario che da sempre rappresenta l’epica e la bellezza, significherebbe molto più di una finale di Champions. Sarebbe una palingenesi.

D’altronde, se nel 2002 furono i sogni a morire, stavolta potrebbero essere proprio i sogni a rinascere. Un gol di Lautaro al 92’? Un rigore parato da Sommer? Una punizione di Çalhanoğlu che si infila sotto l’incrocio e zittisce il Camp Nou?

Chi lo sa.

Di sicuro, ogni interista stasera accenderà un cero alla memoria, con la TV spenta e il cuore mezzo chiuso, ricordando quel 5 maggio 2002. Ma domani sarà un altro giorno. Forse anche un’altra poesia. Il 6 maggio potrebbe diventare la nuova data da scolpire nella pietra.

Noi ovviamente tifiamo Barcellona, speriamo che dopo il 5 maggio ci sia anche un 6 maggio da ricordare.

Magari, stavolta, Simone Inzaghi non entrerà dalla panchina. Ci sarà già, in piedi, davanti alla sua Inter. Abbiamo una certezza: anche se come al suo solito invaderà il campo, magari danneggiando i giocatori avversari come è capitato con Theo Hernandez, stavolta non potrà fare gol contro l’Inter.

Inter speriamo che il 6 maggio diventi il tuo nuovo 5 maggio.

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