Biagio Pancino, giovane ventenne, parte per la seconda volta per Parigi, dopo un precedente viaggio di ricognizione nella stessa Città. Arrivato vi si insedia, ed è il 1952! Qui inizia a fare il pittore dentro uno studio presso amici, poi, sposterà l’attività in uno suo studio in Boulevard Beaumarchais 45. Frequenta da subito l’Istituto Italiano di Cultura dove conoscerà artisti e letterati che passano, o sostano presso di esso. Il milieu culturale che vi trova è fra i più interessanti del secondo dopoguerra. Ed il livello di quell’ambiente fa perno, fra gli altri, su artisti come Severini, Zoran Music, Ida Barbarigo, Valerio Adami, Beniamino Joppolo, Tancredi Parmeggiani, Pier Paolo Pasolini, Mimmo Rotella e tanti altri che vi passarono tenendo conferenze o mostre. Un ambiente vivace e di grande confronto. A parte, senza obbligo di frequenza, si iscrive alla Accademia di Nadia Leger diretta da Bouvier. Ed alla scuola superiore dell’Accademia Libera, Atelier Soubervie. Egli avvia una serie di opere sul segno che lo porteranno all’attenzione di mercanti d’arte fra cui il gallerista Goldschmidt dell’omonima Galleria sita in Boulevard Haussmann, e si legherà d’amicizia con Avril, direttore di una rivista di architettura fra le più interessanti di Parigi che diverrà suo collezionista. Esporrà in diverse mostre e terrà “azioni” artistiche presso il Beaubourg e nella galleria di Charlie Chevalier. Nel 1968 inizierà una analisi sulla pittura e sul concetto di spazio con Boite de Peinture-Peinture de Boite presentata alla Galerie des Philosophes di Ginevra nel 1973. Concetti questi che saranno intrecciati nella soluzione in una stanza unica. Cioè, una pittura che occupi pareti, pavimento e soffitto introducendo così lo spettatore in un ambiente immersivo, come fosse all’interno di un quadro. Questo porta alla fine della sua pittura segnica, che era stata preannunciata da Parcours (Percorso) con35 metri x 2,50 di colore il quale crea un finale da grande uscita quasi cinematografica. La sua “conversione” ad altro è preceduta da una serie di “azioni” in cui colora dei panni appesi ad una corda, come si usa nella nostra campagna veneta. Da qui, da questa campagna, aveva preso fonte quel suo segno espressivo che ricordava i colori dei nostri temporali e delle grandinate dai cieli blu e gialli, fino al superamento della “buriana” ( temporale). Queste sue “azioni” sono proseguite con la tela Penelope che scardina la pittura eseguita su una tela di sacco per tramite di un filo che tirato disfa la tela dipinta. E ancora La Machine à Effilocher ( macchina per sfilacciare), esposta da Mastrogiacomo a Padova negli anni Ottanta, simile alla macchina che taglia documenti; questa sua macchina invece taglia la tela in strisce, ciò a dimostrazione della fine della pittura. In questi anno espone con Daniel Buren e Niele Toroni in Francia e alle fiere d’arte di Bari e di Bologna. In seguito avvia una attenzione alla colorazione di oggetti e ortaggi. Sino alla “illuminazione” del Manifesto dell’Effimero (1981) in cui spiega la caducità dell’opera, la sua intrinseca consunzione, come sembiante della caducità umana. Tutto muore per trasformarsi. Ed ecco che colora gli ortaggi, poi, specializzandosi con la scelta della patata (Pomme de Terre) che una volta colorata e inchiodata su supporto ligneo lentamente marcisce rilasciando gli umori, e si svuota, mantenendo la pelle del colore assunto in precedenza. Qui sta la grande intuizione: l’azione della piega del tempo che agisce sull’oggetto “patata” trasformandolo e rifinendolo fin che arriva alla sua condizione di mummificazione finale. Così viene data al pubblico. Quindi il pittore non dipinge ma, posta alla cura del tempo la sua opera, tempo che agisce come l’artista definendo l’opera come la vediamo. Queste opere fatte con Pomme de Terre si possono vedere presso lo Studio Work di Borgo Sant’Agnese in Portogruaro, mentre nell’Androne Bolzicco si potrà ammirare la sua pittura segnica ed espressionista. Memorabile, oltre al già citato Parcours, è la Biblioteca: Les Pièges du Temps, costruita sulla pianta di un tempio greco ricoperto, nella cella interna, da tutte la bandiere del Mondo fatte di patate colorate ed all’esterno tutta una serie di uomini che hanno segnato la storia ritratti realisticamente dal Pancino e di fronte ad ognuno di questi c’è il ritratto corrispettivo in mummia di patata. Una parte di questa Biblioteca: Les Pièges du Temps è stata montata con Parcours, presso la galleria Ai Molini, a Portogruaro oltre che nella città di Sens. Quindi questa qui descritta è una piccola mostra antologica da non perdere in occasione del compimento dei suoi 93 anni, di Uno dei Pittori Italiani di Parigi.
Boris Brollo
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Biagio Pancino
Nato a S. Stino di Livenza (Ve) nel 1931, vive e lavora a Fontaine la Gaillarde (Francia).
La sua carriera di autodidatta inizia con la frequentazione di pittori regionali veneti.
Nel 1948 emigra, prima a Zurigo, poi a Parigi, dove dal 1952 si stabilisce definitivamente.
Tiene contatti con l’ambiente spazialista veneziano, grazie all’amico Beniamino Joppolo che ha incontrato con Tancredi a Parigi, dove lo stesso Joppolo si è stabilito nel 1954.
Pancino dopo un inizio pittorico alla luce di un realismo sociale si avventura in una pittura cubo/futurista derivatagli dalla frequentazione degli studi di Severini e di Leger.
Questa pittura viene presto superata dall’informale degli anni Cinquanta che vigeva allora in Parigi mescolato a quello spazialista delle rimpatriate veneziane.
Dal 1968 al 1975 espone le sue ricerche sul colore e sul vuoto accanto ad artisti come Daniel Buren e Niele Toroni per avviare subito dopo il ’75 una sua personale riflessione sull’Effimero e la caducità che pervadono la vita e l’arte contemporanea. Ciò lo conduce all’inserimento di materiali organici e quindi deperibili, nel quadro, a dimostrazione dell’ineluttabilità di un destino di consunzione che investe l’opera la quale si salva solo attraverso la pellicola colorata che egli dà a questi elementi organici (Carciofi, e soprattutto Patate) definendo il tutto come Universalis Polychromia.
Negli anni Ottanta tiene alcune conferenze/performance al Beaubourg e nel 1985 viene chiamato da Renato Barilli alla mostra AnniOttanta di Rimini dove è posto fra i Protagonisti Italiani. Giorgio Celli, Roberto Daolio, s’interesseranno a questa sua fase sull’Effimero che viene storicizzata nel 1981 con un libretto a loro firma in una mostra a Palermo dentro la Vuccirìa. Biagio Pancino, da quel momento in poi si firmerà: BP. Vive e lavora nei dintorni di Sens, nella splendida campagna parigina, che lo ha onorato con mostre personali e una grande recente antologica.
In Italia ha prodotto una importante Monografia con la Rebellato Editore di Padova e due libri con la Matteo Editore di Treviso: Boite de Peinture – Peinture de Boite, 2003. E, Biagio Pancino Opere 1952/1974, 2005. Poi, il saggio Biagio Pancino e l’Angelo di Millet. edizioni Anti/Venezia 2010. Infine Biagio Pancino: scritti attorno alla sua opera, 2023. Tutti a cura di Boris Brollo